INTERVISTA IMPOSSIBILE A BEATRICE CENCI ( Roma 1577 – 1599)


INTERVISTA IMPOSSIBILE A  
BEATRICE CENCI  ( Roma 1577 – 1599)  
Beatrice Cenci, attribuito a Guido Reni, Palazzo Barberini, Roma

Aver volontà di togliersi dall'ingiustizia è delitto o justizia?” esclamai prima di essere giustiziata quel maledetto 11 settembre 1599….

Mi chiamo Beatrice Cenci ho ventidue anni con una terribile storia che mi ha reso famosa, avrei preferito l’anonimato ma il destino è stato crudele con me.
Ero baronessa, appartenevo a una delle famiglie più ricche di Roma e vivevo in uno splendido palazzo di fronte all'isola Tiberina, tuttora visibile.
Sono cresciuta in una famiglia numerosa con sei fratelli. Avevo sette anni quando morì la madre e fu mandata al convento di Santa Croce a Montecitorio insieme a mia sorella Antonina…
Quelli furono i migliori anni della mia vita perché quando a quindici anni tornai a casa, fui vittima degli abusi sessuali da parte di mio padre. Era un uomo terribile in tutti i sensi, per la sua avarizia i miei fratelli più grandi vivevano negli stenti.
 Grazie all'intervento di Papa Clemente VIII ottenemmo dei terreni paterni e mia sorella Antonina riuscì a sposarsi.

Dopo pochi anni mio padre si unì in matrimonio a una vedova benestante che si chiamava Lucrezia. I miei fratelli Bernardo e Paolo furono affidati ai preti invece io e la mia matrigna fummo relegate nella rocca di Petrella a Salto, un paesino vicino a Rieti. Iniziò un vero e proprio inferno…Esausta iniziai a scrivere delle lettere a mio fratello Giacomo e ad alcuni parenti invocando aiuto, ma quando la corrispondenza fu scoperta, rischiai di essere uccisa dalle percosse di mio padre.
La situazione peggiorò quando mio papà si trasferì nella rocca con i miei fratelli minori, Bernardo e Paolo, che poi per loro fortuna riuscirono a tornare a Roma.
Improvvisamente in quella fortezza ebbi un quadro chiaro ma terribile della mia esistenza, ero vittima della tirannia di un genitore che aveva distrutto la mia indipendenza, i miei sogni, ma soprattutto la mia innocenza! In questo vortice di sentimenti, fui assalita contemporaneamente dall'odio, dalla voglia di libertà che alla fine maturò in me l'idea di parricidio. Pensai di coinvolgere il castellano Olimpio Calvetti, che finsi di amare: aveva più del doppio della mia età, ma era l'unica persona in grado di potermi far uscire da una situazione così surreale.
Nella rocca cercai due volte di uccidere mio padre la prima volta coinvolsi dei banditi ma non riuscii ad accordarmi, la seconda tentai di avvelenarlo, ma s'insospettì subito.
 Pensai di ricorrere all'oppio fornitomi da mio fratello Giacomo, ma non fu sufficiente per un sonno perenne. A quel punto Marzio Floriani detto il Catalano insieme a Olimpio Calvetti, lo uccisero a martellate e lo gettarono dal balcone simulando un incidente.
Sembrava proprio un delitto perfetto: era il 9 settembre 1598. 
 Mio padre Francesco, aveva ereditato un ingente patrimonio che però non seppe amministrare e dissipò nella sua vita scellerata “per penalità inflittegli in seguito a violenze, ferimenti, turpi delitti”. Era un uomo depravato, violento, rissoso, avaro che si è sposato giovanissimo.

Rocca Cenci a Petrella
 
I due sicari e noi quattro Cenci fummo inizialmente messi agli arresti domiciliari (mio fratello minore Paolo era già morto) e poi fu emesso un mandato di cattura.
 Il Calvetti riuscì inizialmente a eclissarsi, ma poi fu fatto tacere per sempre. Il Catalano invece una volta scappato fu ripreso e confessò. Io e i miei fratelli non temevamo nulla perché di sangue blu; eravamo convinti che non avrebbero potuto torturarci, che ingenui! La mia matrigna Lucrezia confidava invece nell'intervento di qualche personaggio potente. Purtroppo però, dopo quella confessione fummo tutti reclusi nelle segrete di Castel Sant'Angelo in attesa di giudizio… un vero incubo…
Era il mese di agosto del 1599 quando il Papa autorizzò il tribunale alle torture anche nei confronti della nostra famiglia. L'ho sempre odiato Clemente VIII, da sempre avrebbe voluto impossessarsi delle nostre proprietà.
Fummo sottoposti alla tortura della corda che consisteva nel legare le braccia dietro alla schiena ed essere appesi per i polsi, una pena dolorosissima che a volte creava anche storpiature permanenti. Il tempo per il quale si restava sospesi dipendeva dalla lunghezza delle preghiere recitate dal condannato. Durante le torture confessarono tutti: il primo fu mio fratello Giacomo, poi il piccolo Bernardo e infine la mia matrigna. Seguì il mio turno, cercai di resistere in tutti i modi ma il dolore era atroce, sentivo le braccia che si stavano letteralmente staccando dal corpo, pregai e con tutte le forze alla fine gridai: ”Calatemi, che voglio dire la verità”. Fino a quel momento avevo sempre negato tutto scaricando la colpa al mio amante, ma dopo quell'atroce tortura ammisi l'omicidio.
Al Processo avevamo gli avvocati più bravi di Roma, ero accusata di omicidio ma avevo come attenuante la violenza sessuale paterna: non potevo essere condannata! In realtà le cose non andarono secondo le mie aspettative.
Non ci fu nulla da fare, prevalsero le tesi accusatorie e non valsero a nulla le richieste da parte dei cardinali di clemenza al Pontefice; per me era finita, ci aspettava il patibolo! Clemente VIII voleva che l'esecuzione fosse esemplare anche per le altre famiglie nobili. Questa fu la giustificazione ufficiale, ma appena poté confiscò i nostri beni, era quello il suo principale obiettivo. 
Mio padre era morto ed io ero in preda al panico... Dopo una breve cerimonia in chiesa fu seppellito sbrigativamente; ritenevo ormai il caso definitivamente chiuso. Purtroppo in paese cominciò a serpeggiare l'idea che si trattasse di un assassinio e gli inquirenti iniziarono le indagini. Non pensammo a cancellare le prove, eravamo certi che non saremmo stati scoperti e che nessuno sarebbe entrato nel castello. Invece iniziarono le indagini, fu riesumato il cadavere, fu ritrovato il materasso e le lenzuola intrise di sangue. Inoltre il foro praticato nelle assi del balcone era troppo stretto per far scivolare un corpo abbondante di mio padre e il parapetto del balcone era piegato verso l'esterno e non verso l'interno, dove il malcapitato si sarebbe potuto aggrappare in caso di pericolo.

Targa in via di Monserrato n. 42, Roma

  Si preparò il patibolo, era un'afosa giornata di settembre e fummo accompagnati nell’affollatissima piazza di ponte sant'Angelo

 La prima a essere decapitata fu mia madrigna, ma non me ne accorsi perché ero intenta a pregare e non sentii né grida né il tumulto della folla, e chiesi: “La mia signora madre è veramente morta?” mi risposero di sì, allora continuai a pregare “Signore tu mi chiami ed io di buona voglia ti seguo, perché so di meritare la tua misericordia”. 

Ponte di Castel Sant'Angelo, Roma

 Fu il mio turno, la piazza era gremita, c'erano amici, conoscenti, quando mi accorsi che in prima fila c'era un uomo che mi fissava, era il “pittore maledetto”, il famosissimo Caravaggio. Accanto a lui Orazio Gentileschi e la figlia Artemisia, erano lì per studiare e “fotografare” le emozioni, gli sguardi, la nostra paura. 

 Fu così che “il carnefice intimorito si trovò impacciato” ma alla fine eseguì il suo lavoro. 

  Fu la volta dei miei fratelli... a Giacomo toccò un'atroce morte: fu stordito con un colpo di mazza, scannato e infine squartato. A Bernardo spettò l'ergastolo, per la sua giovane età, ma dovette assistere alle nostre esecuzioni e svenne. 

La mia triste vita suscitò una sincera commozione e allora come oggi nonostante siano passati secoli, si continua a parlare di me e della mia famiglia tra storia e leggenda. Ho ispirato numerosi scrittori e artisti.

 Sono stata sepolta in San Pietro in Montorio, senza una lapide, com’era solito per i giustiziati. In seguito la mia tomba fu profanata durante l'occupazione francese nel 1798 e di me resta il ricordo e la cesta che accolse la mia testa, tuttora nella chiesa di San Giovanni Decollato.  

Da allora sono un'anima in pena... ma resterò sempre la Baronessa Beatrice Cenci. 

Beatrice Cenci  di H. Hosmer, 1854


Curato da Alessandra Bartomioli



Commenti

  1. Bellissima narrazione, intensa e scorrevole, tristemente coinvolgente. Molto brava.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari